Alimentare creativamente le relazioni

Di creatività si è parlato molto, in relazione allo sviluppo nei bambini di buone capacità emotive e cognitive e negli adulti alla maturazione di un pensiero divergente, vale a dire in grado di trovare soluzioni originali, fuori dagli schemi abituali e comuni. 

È stato detto da molti che la creatività è uno stile di pensiero, un modo di affrontare la vita, le fasi di cambiamento, i problemi inattesi; la capacità di associare idee e fatti, concetti e situazioni, vedendone il lato meno usuale rispetto alle immagini correnti. 

La creatività è uno stile di pensiero

Talvolta siamo portati a classificare come creativi pensieri o comportamenti strani, bizzarri o trasgressivi. Creatività non è sinonimo di eccentricità, anzi non è questa la cifra più interessante, la creatività non deve contrastare con la capacità di adattamento nella vita quotidiana. 

La creatività può essere insegnata da genitori ed educatori a partire da un atteggiamento aperto alle novità, dall’attitudine a lasciarsi sorprendere e dalla fiducia trasmessa al bambino nelle proprie capacità.

Gli stessi sintomi sono atti creativi del soggetto, sono vere e proprie invenzioni, soluzioni che il soggetto trova per trattare paure, angosce, traumi sottostanti. L’atto creativo è anche ciò che compie l’analista all’interno di un percorso di cura, sorprendendo il paziente e facendogli sperimentare nuovi e diversi modi di stare in relazione con l’altro.

Qui voglio mettere però in luce come sia importante che anche le relazioni personali, a partire da quelle tra genitori e figli, siano alimentate da un atteggiamento creativo, per superare ostacoli, punti di stallo, momenti di difficoltà o divergenze nelle soluzioni da adottare nelle più disparate circostanze. 

Una mia paziente mi ha proposto una interessante definizione del termine: “La creatività è qualcosa di così strettamente personale e legato all’individuo da poterla associare ad una sorta di spirito vitale, una luce che sembra esistere in persone dotate di vitalità, in grado di tradurre in atti, parole, sguardi, colori, musica, ma anche silenzi, movimenti, pause, espressioni del volto i propri mondi interiori”.

In sostanza, per essere alimentati da una relazione non ci basta ricevere dedizione e tanto meno sacrificio, ma occorre sentire l’energia vitale dell’altro e sentire lo sguardo dell’altro su di noi, che offre il riconoscimento necessario ed essenziale alla strutturazione di un’identità forte.

Nutrire creativamente le relazioni significa prendersi cura dell’altro, considerandolo nella sua unicità e offrendogli un posto particolare all’interno della relazione stessa. A tale proposito un’altra paziente mi dice: “Pensare alle relazioni mi fa venire sempre più spesso in mente un giardino. Le relazioni sono in fondo paragonabili a qualsiasi cosa necessiti una cura nel tempo, un’attenzione e una costanza. Un nutrimento…Un’alimentazione particolare per ogni albero, ogni pianta, ogni fiore che si è scelto di tenere”. 

Ciò che nutre non è la “pappa”, ma la capacità di valorizzare la particolarità del soggetto, le differenze, di cogliere i tratti distintivi e unici perché, aggiunge la stessa paziente: “Ci sono tante piante nei nostri giardini, tutte diverse!”.

Le relazioni si possono nutrire trovando per ognuna di esse le dosi giuste di quell’amore che o rompe tutti gli argini o si rifiuta di uscire da dentro di noi. Non è semplice trovare un punto di equilibrio. Ci aiuta a capire la difficoltà una efficace immagine di un’altra paziente: “Come trovare per questo flusso tanto positivo e vitale quanto forte e pericoloso una musica d’orchestra al cui ritmo lasciarlo scorrere, portatore di gioia e non di dolore?”

Ricordiamo che l’amore va comunicato e rinnovato. La tendenza a dare per scontati i sentimenti è un modo per non nutrirli. C’è chi l’amore non lo dice e chi lo dice tutti i giorni, così spesso e con tanta maniacalità da rendere pesante ciò che per natura alleggerisce l’animo e dona aria e libertà. Alimentare creativamente le relazioni significa trovare le risorse per tenere vivi i luoghi, gli spazi delle varie relazioni, anche contro le routine della vita quotidiana e la stanchezza.